IL SELVATICO
Opere di Guido Venturini

a cura di Massimo Viti e Mauro Papa
al Lucerna Gallery dal 28 maggio al 15 giugno 2021

 

Guido Venturini è stato (ed è) un importante designer – per intendersi, è colui che ha creato gli oggetti della serie Girotondo, oppure il Firebird, l’accendigas a forma di fallo – ma da molti anni si dedica prevalentemente alla pittura. Una decisione che testimonia un nuovo percorso non solo formale ed estetico, ma anche umano e spirituale. Perché il rinnovato gusto per il colore e per la materia, e la scelta espressiva di abbandonare il “progetto” – freddo e seriale – per dedicarsi alla realizzazione di pezzi unici, riflette un principio etico: attraverso il gesto che dà spazio all’istinto, al caso e all’imprevedibile, l’autore prende posizione sul valore della modernità e dei suoi simulacri. Una posizione critica, non di retroguardia ma postmoderna e già percorsa da tutti quegli artisti che, nel recente passato, sono passati da esperienze concettuali alla figurazione della cosiddetta “transavanguardia”. E, a proposito di transavanguardie, Venturini cita proprio Sandro Chia: “forse la pittura deve essere istintiva e un po’ stupida, come dice Chia, nel senso di fare senza pensare”.

Pittura “stupida”. In un’epoca in cui domina il pensiero tecnologico e il mondo diventa virtuale, digitale, standardizzato e riproducibile con stampanti 3d, l’atto creativo può e deve violare gli interstizi tra i logaritmi per liberare la sua “stupidità d’istinto”, che altro non è che il motore incontrollato della vita e dell’umanità, basato su pulsioni organiche sostenute dal calore del sangue. E il calore non si sviluppa solo nell’esercizio fisico del fare arte, in quella formatività che Pareyson vedeva alla base del principio estetico, ma anche nel tornare a riflettere sul contrasto tra natura e cultura per assumersi la responsabilità di fare nuove scelte.

Le scelte di Venturini, naturalmente e spontaneamente, privilegiano la dimensione del “selvatico”. Tra natura e cultura Venturini sceglie la natura e lo manifesta nei soggetti delle sue opere che sono tipici di un “realismo semplice”, cioè distanti dalla retorica romantica dei grandi paesaggi e dal conformismo ecologista delle tematiche ambientaliste. Perché la natura di Venturini non è pittoresca e monumentale ma intima e domestica, vicina, microscopica. E il riferimento al “selvatico”, alla “selva”, all’esperienza di vita non addomesticata dalla civiltà – dei consumi, che ci consuma – accentua la componente affettiva e poetica di un mondo semplice, fatto di cose minime.

Questo mondo semplice e selvatico, da una parte, induce alla contemplazione e alla meditazione. Dall’altra, è in grado di di attivare una potenza evocativa che solo le “cose” minime possono sollecitare. Perché queste piccole “cose” viventi non sono dipinte in modo semplicemente descrittivo e icastico, ma sono distillate e trasfigurate in una dimensione di naturalismo simbolico che indica una vocazione metafisica e un’emergenza spirituale.

Le opere in mostra lo dimostrano. Tra loro, la bellissima serie “astrattizzante” dei Campi (la terra che dà frutti e colori) e la serie degli alberi di Axis Mundi. L’axis mundi è “l’asse del mondo”, l’albero della vita che collega cielo e terra, l’elemento eretto, fallico e vitale che è considerato sacro da tutte le culture (fatta eccezione per quella del profitto) e da tutte le tradizioni. E poi, in direzione microscopica, ecco gli animali da cortile – gatti, galline e pulcini – dispersi e isolati in fondi neutri su cui galleggiano placidi e misteriosi. Infine, i ritratti allegorici: il pensatore e il sognatore. Volti che ripercorrono fisionomie archetipe filtrate e metabolizzate dagli esempi storici dipinti da Francesco Clemente e, non a caso, da Marc Chagall, colui che odiava le linee rette, rigide, razionali, e che diceva: “se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà, se invece uso la testa sarà molto difficile”.

E per continuare con le citazioni, mi piace chiudere questo breve contributo con le parole di un altro grande artista, Gino de Dominicis: “Non sono molto interessato all’arte moderna e neanche a quella antica. Preferisco quella prediluviana”. Ecco, se De Dominicis scelse di abbandonare l’arte concettuale per rifugiarsi nella figurazione mitica, assecondando una svolta di ordine spirituale, Venturini ha scelto di abbandonare il design per rifugiarsi nella figurazione minima e assecondare la sua personale svolta di ordine salvifico. E selvatico.

Mauro Papa